Tumore della prostata: possibile ruolo della dieta in prevenzione secondaria
“Lo studio dei colleghi d’Oltreoceano apre nuove possibili prospettive sulle raccomandazioni dietetiche dei malati – sottolinea Sergio Bracarda, Presidente Nazionale SIUrO -. In totale sono più di 564mila gli uomini che in Italia vivono dopo una diagnosi di tumore della prostata e il loro numero è in costante crescita. È dunque una patologia molto diffusa e fermarne il rischio di progressione deve essere una nostra priorità. Servono però ulteriori indagini per verificare in modo più approfondito quale sia la dieta migliore, che deve contemplare un equilibrio tra i vari macronutrienti. Per esempio chi sta affrontando una terapia ormonale rischia di andare incontro ad una forte perdita della massa muscolare. Ha quindi bisogno di un’alimentazione proteica e non solo ricca di vegetali. Più in generale gli stili di vita alimentari sono fondamentali sia prima che dopo una diagnosi di neoplasia genito-urinaria. Diversi studi hanno già evidenziato il ruolo, nell’insorgenza del tumore prostatico, di una dieta particolarmente ricca di grassi saturi e di un eccessivo consumo di carne rossa e latticini. Lo stesso vale nel carcinoma renale dove i troppi grassi d’origine animale possono essere una concausa della patologia. Non sono ancora emerse evidenze scientifiche nette per i tumori testicolari e vescicali. Il nostro consiglio per tutti, pazienti e non, è quello di seguire una dieta il più possibile varia ed equilibrata, con eventuali raccomandazioni specifiche. Al tempo stesso bisogna prestare grande attenzione al controllo del peso corporeo altro fattore di rischio strettamente collegato all’alimentazione”.
All’ASCO GU di San Francisco sono presentate le ultime evidenze scientifiche d’ambito uro-oncologico prodotte dalla ricerca medico-scientifica internazionale. “Ci sono novità importanti sul carcinoma a cellule renali avanzato così come su quelli uroteliale e prostatico – prosegue il dott. Bracarda -. Abbiamo inoltre aggiornamenti di precedenti studi sul tumore della prostata resistente alla castrazione. Si stanno poi affacciando anche nuovi biomarcatori prognostici nonché l’utilizzo dell’intelligenza artificiale multimodale. Innovazione, tecnologia e un costante miglioramento della pratica clinica quotidiana hanno permesso di arrivare a risultati importanti. I trattamenti sono più efficaci e in grado di aumentare le aspettative di vita anche per le forme più gravi ed avanzate di tumore. Infatti gli ultimi dati sottolineano che in Italia abbiamo ottenuto una sopravvivenza a cinque anni dell’oltre l’80% per le quattro principali neoplasie urologiche: prostata, vescica, rene e testicolo. Da qui l’esigenza di affrontare anche altri aspetti come, per esempio, l’alimentazione oppure la conservazione delle capacità sessuali e riproduttive di un paziente”.
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Tumori: ruolo dei farmaci agnostici nel moderno approccio terapeutico
“L’oncologia è di fronte a profondi mutamenti, che stanno portando all’affermazione di un nuovo modello, definito mutazionale – spiega Giordano Beretta, Presidente Nazionale AIOM e Responsabile Oncologia Medica Humanitas Gavazzeni di Bergamo -. Il punto chiave del nuovo processo è rappresentato dalla profilazione genomica e, quindi, dall’individuazione della mutazione ‘driver’ e del carico mutazionale, che guidano la scelta della terapia, indipendentemente dalla sede del tumore, dall’età e dal sesso del paziente. I farmaci agnostici sono correlati al modello mutazionale: non sono studiati e testati per la loro efficacia su uno specifico tipo di cancro, ma colpiscono selettivamente alcune mutazioni genetiche, che possono essere responsabili di diverse neoplasie, in diversi organi”.
In un’analisi su 500 pazienti con tumori di diverso tipo in stadio avanzato sottoposti a profilazione genomica dal MD Anderson Cancer Center (Houston, USA), nel 30% dei casi è stata riscontrata un’alterazione genetica che può essere bersaglio di trattamenti specifici (definita ‘actionable’). E in uno studio clinico prospettico su 843 persone con tumore avanzato, un’alterazione ‘actionable’ è stata identificata, grazie all’analisi genomica, nel 49% dei pazienti.
“La presenza di alterazioni molecolari ricorrenti nei tumori richiede la profilazione genomica con strumenti diagnostici che forniscano informazioni per tracciare il profilo molecolare delle varie forme tumorali, sia in termini quantitativi che qualitativi – afferma Antonio Russo, Membro Direttivo Nazionale AIOM e Ordinario di Oncologia Medica, DICHIRONS – Università degli Studi di Palermo -. I pazienti candidati al trattamento con farmaci agnostici dovrebbero essere selezionati sulla base della presenza delle alterazioni molecolari, individuate attraverso test agnostici. In particolare, il test di sequenziamento genico di nuova generazione (Next Generation Sequencing, NGS) fornisce la visione più completa di un ampio numero di geni: è in grado di analizzare oltre 300 mutazioni geniche e può individuare le alterazioni molecolari da minime quantità di tessuto. La ricerca con il test NGS può essere effettuata direttamente sul tessuto tumorale asportato oppure su un campione di sangue. In quest’ultimo caso, si parla di ‘biopsia liquida’, una tecnica che consente di studiare, nei fluidi biologici come il sangue, numerose componenti molecolari del tumore, e che può rappresentare uno strumento importante per seguire nel tempo l’evoluzione dinamica della neoplasia”.
“Un esempio paradigmatico di alternazione genica che può essere trattata con farmaci agnostici è quella del gene NTRK – sottolinea Nicola Silvestris, Membro Direttivo Nazionale AIOM e Professore Associato di Oncologia Medica IRCCS Istituto Tumori ‘Giovanni Paolo II’ di Bari – DIMO Università degli Studi di Bari -. I tumori con fusione di NTRK non si limitano a specifici istotipi, ma possono interessare qualsiasi organo. L’identificazione delle neoplasie portatrici di questi riarrangiamenti genici è fondamentale per la selezione dei pazienti che possono beneficiare delle terapie mirate appartenenti alla famiglia degli inibitori della tirosin-chinasi”.
Nel 2020 in Italia sono stimati 377mila nuovi casi di tumore e 3,6 milioni di cittadini vivono dopo la diagnosi. Nella pratica clinica i test agnostici sono utilizzati soprattutto nelle neoplasie dell’apparato gastroenterico, del polmone, nei sarcomi, nei tumori urologici, ginecologici, mammari e del distretto cervico-facciale.
“L’accesso dei pazienti alle terapie agnostiche inizia con l’esecuzione di un test di profilazione genomica, prosegue con l’interpretazione dei dati, per arrivare alla scelta terapeutica – continua Rita Chiari, Membro Direttivo Nazionale AIOM e Direttore Struttura Complessa Oncologia Ospedali Riuniti Padova Sud -. L’estrema complessità della gestione del modello mutazionale in oncologia richiede in maniera imprescindibile l’attivazione dei Molecular Tumor Board (MTB), gruppi interdisciplinari (formati da oncologo medico, anatomopatologo, biologo molecolare, genetista, farmacologo clinico, farmacista ospedaliero, bioinformatico, epidemiologo clinico, bioeticista e rappresentanti dei pazienti), in cui siano integrate molteplici competenze per governare i processi clinici e decisionali di appropriatezza. Oggi in Italia operano solo una decina di MTB, pertanto devono essere implementati, rispondendo a criteri comuni”. “Inoltre – conclude il Presidente Beretta -, un obiettivo cruciale è la condivisione di dati genomici uniformi mediante la creazione di una Piattaforma Nazionale Genomica, che permetterà la produzione di nuove conoscenze e l’accesso dei pazienti alle terapie innovative, consentendo al contempo la valutazione dell’efficacia e dei costi e un maggiore governo della pratica clinica. Esistono oggi varie realtà in cui sono stati attivati database con estrazione di dati strutturati e non-strutturati secondo procedure di interoperatività. La Piattaforma Nazionale condivisa non dovrà sostituire i sistemi informatici già disponibili, né creare un sistema aggiuntivo di centralizzazione dei dati, che rimarranno nella custodia dei laboratori e delle Istituzioni che li hanno generati. La Piattaforma Nazionale dovrà affiancarsi a quelle locali e creare un sistema virtuale di condivisione dei dati genomici basato sulla interoperabilità”.
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Ca del pancreas, identificato un nuovo marcatore utile per orientare meglio le terapie
In Italia, ogni anno vengono diagnosticati circa 13.000 nuovi casi di tumore al pancreas e la percentuale di sopravvivenza a 5 anni è meno del 10%. Si prevede che, entro il 2030, il tumore al pancreas diventi la seconda causa di morte oncologica. La gravità e la mancanza di trattamenti efficaci rendono necessari studi per la ricerca di nuove terapie e marcatori che possano aiutare a scegliere il farmaco più efficace. Per poter crescere, le cellule tumorali hanno bisogno di nutrienti e fonti d’energia.
L’aggressività del tumore al pancreas è dovuta alla capacità di adattarsi in condizioni avverse, come ad esempio la scarsità di nutrienti e fonti energetiche, che vengono sfruttate dalle cellule per sopravvivere. Recentemente, sono stati sviluppati dei farmaci che impediscono l’utilizzo di tali nutrienti, come ad esempio la glutammina.
PI3K-C2γ controlla la via di segnalazione intracellulare di mTOR, che regola il metabolismo e la crescita della cellula, e influisce sull’utilizzo della glutammina per favorire la progressione tumorale. Nel tumore del pancreas, la proteina PI3K-C2γ non è presente in circa il 30% dei pazienti, i quali sviluppano una forma maggiormente aggressiva della malattia.
La Dott.ssa Maria Chiara De Santis, primo autore dello studio, ha dimostrato che la perdita di PI3K-C2γ accelera lo sviluppo del tumore, ma allo stesso tempo rende più sensibili a farmaci che colpiscono mTOR e all’utilizzo della glutammina.
De Santis MC, et al. Lysosomal lipid switch sensitises to nutrient deprivation and mTOR targeting in pancreatic cancer. Gut 2022 May 27;gutjnl-2021-325117.
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Ca della mammella: il test genomico può evitare chemioterapie superflue
“I test genomici sono uno strumento estremamente importante nella scelta del trattamento per le donne che, in base alle caratteristiche anatomopatologiche e cliniche, sono in una sorta di ‘zona grigia’, in una fase in cui non si può includere o escludere con certezza la chemioterapia rispetto alla sola terapia ormonale - afferma Saverio Cinieri, Presidente eletto Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e Direttore Oncologia Medica e Breast Unit dell’Ospedale ‘Perrino’ di Brindisi, che aggiunge: ”I risultati dello studio RxPONDER possono cambiare la pratica clinica e dimostrano che la grande maggioranza delle donne in postmenopausa può evitare chemioterapie inappropriate e ricevere solo la terapia ormonale. Si tratta di un risultato molto importante soprattutto durante la pandemia, perché la chemioterapia rende le pazienti più vulnerabili a complicanze in caso di contagio”.
Lo studio RxPONDER è stato condotto da SWOG Cancer Research Network con il supporto del National Cancer Institute (USA). L’obiettivo era determinare quali pazienti con tumore del seno HR-positivo, HER2-negativo e linfonodi ascellari positivi (da uno a tre) traessero vantaggio dalla chemioterapia e quali invece potessero evitarla in sicurezza e ottenere risultati simili solo con la terapia ormonale. “Ad oggi non erano disponibili dati di un grande studio clinico randomizzato in grado di indirizzare la decisione – spiega Giuseppe Curigliano, Professore di Oncologia Medica all’Università di Milano e Direttore Divisione Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano –. Lo studio RxPONDER ha mostrato un effetto diverso della chemioterapia, sulla base dei risultati del test genomico, per le donne in postmenopausa e in premenopausa. I risultati evidenziano che le pazienti in postmenopausa con questo tipo di malattia e con un risultato Recurrence Score, cioè un punteggio del test genomico, pari o inferiore a 25, possono evitare in sicurezza la chemioterapia dopo la chirurgia. Al contrario, lo studio ha dimostrato che le pazienti in premenopausa con tumore del seno con le stesse caratteristiche dovrebbero considerare la chemioterapia adiuvante. Il tasso di sopravvivenza libera da malattia invasiva infatti è migliorato del 5%, passando dall’89% con la sola terapia ormonale al 94,2% aggiungendo la chemioterapia nelle donne in premenopausa”.
Il risultato Recurrence Score, che va da zero a 100, è stato calcolato con il test genomico Oncotype DX, che fornisce la determinazione individualizzata del rischio basata sul genoma nel tumore del seno invasivo in stadio iniziale. Oncotype DX, che è eseguito su campione tumorale proveniente da tessuto chirurgico, è un test multigenico scientificamente validato ed estesamente utilizzato nella pratica clinica. I test genomici sono raccomandati dalle più importanti linee guida internazionali, come quelle della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO), del National Comprehensive Cancer Network (NCCN) e della St. Gallen International Breast Cancer Conference.
“Queste analisi molecolari – conclude Saverio Cinieri – sono in grado di identificare, in alcune tipologie di pazienti, coloro che hanno migliore o peggiore prognosi e maggiore o minore probabilità di trarre beneficio dalla chemioterapia adiuvante o dalla sola terapia ormonale. Ad oggi in Italia, solo la Lombardia, la Toscana e la Provincia Autonoma di Bolzano ne hanno approvato la rimborsabilità, pur trattandosi di una tematica dibattuta a livello regionale, come dimostrano le mozioni a favore della gratuità presentate nei Consigli regionali di Sardegna, Emilia-Romagna e Lazio. L’obiettivo di AIOM è che tutte le Regioni stabiliscano la rimborsabilità dei test, consentendo così a tutte le donne, indipendentemente dalla residenza, di accedervi senza disuguaglianze a livello territoriale. È infatti dimostrato che l’adozione dei test genomici comporta evidenti benefici clinici, migliora la qualità di vita delle pazienti e permette un risparmio economico per il sistema sanitario, evitando chemioterapie inappropriate”.
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